sábado, 11 de marzo de 2017

Scuola Ecclesia Mater

Scuola Ecclesia Mater





































venerdì 10 marzo 2017






Presentazione del libro "Con i Sacramenti non si scherza" di don Nicola Bux - Matera, 21 marzo 2017









“In
eo supplício mórtui sunt omnes, præter Melithónem natu mínimum. Quem
cum præsens mater ejus, fractis crúribus, adhuc vivéntem vidísset, sic
cohortáta est: Fili, paulísper sústine; ecce Christus ad jánuam stat
ádjuvans te. Cum vero reliquórum córpora plaustris impóni cérneret, ut
in rogum inferréntur, ac fílium suum relínqui, quod speráret ímpia turba
púerum, si vixísset, ad idolórum cultum revocári posse; ipso in húmeros
subláto, sancta mater vehícula Mártyrum corpóribus onústa strénue
prosequebátur. In cujus ampléxu Mélithon spíritum Deo réddidit, ejúsque
corpus in eúmdem illum ceterórum Mártyrum rogum pia mater injécit; ut
qui fide et virtúte conjunctíssimi fúerant, fúneris étiam societáte
copuláti, una in cælum pervenírent” (Lect. VI – II Noct.) - Ss. XL
(QUADRAGINTA) MARTYRUM


Questi soldati di
Sebaste, nell’antica Armenia, martirizzati un 9 o 10 marzo verso il 320, ebbero
un culto celebrato in tutto l’Oriente, in special modo in Cappadocia ed in Siria, dalla fine dello stesso
secolo, come ci testimonia anche Sozomeno (cfr. Sozomeno,
Historia Ecclesiastica
, lib. IX, cap. 2, De
inventione reliquiarum sanctorum quadraginta martyrum
, in PG 67, col.
1597B-1602B). Furono cantati dai grandi dottori san Basilio (San Basilio Magno, Homilia XIX, In sanctos Quaradraginta martyres, a. 372, in PG 31, col.
507B-526A), san Gregorio di Nissa (San
Gregorio di Nissa
, Oratio I in Laudem SS.
Quadraginta Martyrum
, in PG 46, col. 749A-756C;
Oratio II, ivi, col. 757A-772B; Oratio Laudatoria In
Quadraginta Martyres dicta in eorum martyrio
, ivi,
col. 773A-788B), sant’Efrem
Siro (Sant’Efrem il Siro, Hymni in SS. 40 martyres), ma anche san Guadenzio di Brescia (San Gaudenzio di Brescia, Sermo XVII, De diversis capitulis septimus, in PL 20, col.
959B-971B), i quali pronunciarono delle omelie in loro onore.
Di essi si fa menzione, poi, nel
lezionario di Gerusalemme del 415-417 e poi nel Geronimiano.
La Chiesa di Armenia celebra la loro
festa il sabato della IV settimana di Quaresima; il rito siriano il sabato tra
il 7 ed il 14 marzo; il rito bizantino il 9 marzo, che è il giorno dato dalla
loro Passio.
Ottennero, sin dall’Alto
Medioevo, una grande celebrità anche in Occidente.
Il loro culto apparve a Roma nell’XI
sec.: il sacramentario di San Lorenzo in Damaso ed il
calendario dell’Aventino, ma anche il martirologio di San Pietro e di San Ciriaco,
il lezionario di San Gregorio ed il passionario dei Santi Giovanni e Paolo
menzionano questi martiri. Questo culto si è mantenuto da allora. Non sembra
che esso fosse introdotto nella liturgia romana sotto l’influenza germanica,
poiché all’infuori dell’Inghilterra, i calendari nordici non accordano grande interesse
ai Martiri armeni. Poiché sono iscritti nel calendario di Napoli, bisognerebbe
pensare piuttosto ad un’influenza orientale.
In ogni caso, la loro
memoria penetrò nel Messale romano nell’XI sec. grazie alle diverse chiese
medievali, che furono a loro dedicate nella Città eterna e dove assunse una
forma decisamente popolare.
Il più antico luogo di
culto nell’Urbe dedicato agli odierni Martiri fu un oratorio, eretto nel Foro
romano, a sud dell’antica Fonte di Giuturna, nei pressi della Chiesa di Santa Maria Antiqua, verso l’VIII sec. Tale
oratorio conserva ancor oggi – sebbene non più dedicato al culto – sulla parete
di fondo un affresco della metà dell’VIII sec. raffigurante i Santi Martiri a
cui era dedicato (cfr. Ch. Huelsen, Le Chiese di Roma nel medio
evo
, Firenze 1927,
p. 426). Nascosto da
molto tempo, l’oratorio riapparve alla luce se non soltanto nel 1900.
Nel XII sec., Callisto
II eresse loro un piccolo oratorio ai piedi del Gianicolo, non lontano dal
titolo trasteverino di Callisto, ed è denominato oggi Chiesa dei
Santi Quaranta Martiri e san Pasquale Baylon
(Mariano Armellini,
Le chiese di Roma dal
secolo IV al XIX
, Tipografia Vaticana, Roma 18912, p.
663; Ch. Huelsen, op. cit., p. 427). Un’altra
chiesa sotto il loro nome (Sanctorum Quadraginta in Vivariolo), e di cui si sa poco
essendo oggi scomparsa, si elevava presso l’antico Campo Pretoriano: è
menzionata all’epoca di Celestino III e poi ancora in quella di Innocenzo IV (Armellini, op. cit., p. 824; Huelsen, op. cit., p. 427). Più
vicino al centro di Roma, sulla via papale, si elevava il tempio Sanctorum Quadraginta de calcarariis, consacrato oggi alle stigmate di san Francesco
(Sacre Stimmate) (Armellini, op.
cit
., p. 492; Huelsen, op.
cit
., pp. 425-426) ed, infine, in prossimità dell’anfiteatro Flavio, si
trovava il tempio Sanctorum Quadraginta, titolo cardinalizio
oggi distrutto (Armellini, op.
cit
., pp. 139-140; Huelsen, op.
cit
., p. 426).
Un altare era loro dedicato nella
basilica del Laterano (cfr. Pierre Jounel, Le Culte des Saints
dans les Basiliques du Latran et du Vatican au douzième siècle
, École
Française de Rome, Palais Farnèse, 1977, p. 227), vicino alla tomba di papa Silvestro II, non
lontano dall’entrata nella navata meridionale, ed opposto a quello sant’Antonino
di Apamea nella parte settentrionale che l’Ordo
lateranensis chiama in porticu maioris ecclesiae, benché sia
già all’interno dell’edificio (ibidem, p. 374). I Quaranta soldati di Sebaste (Armenia) e sant’Antonino di Apamea,
perciò, rappresentano i martiri d’Oriente al Laterano.
La messa ha un sapore
assai antico, ma non presenta nulla di originale, poiché essa è composta di
diverse parti di altre feste anteriori. Nel messale tradizionale la messa è con
Rito semidoppio.
L’introito è tratto dal Sal.
34 (33). La natura dei santi martiri, esattamente come la nostra, inorridiva all’idea
di soffrire: per questo, in presenza della prova, alzavano verso il Cielo le
loro grida. Dio li ascoltò, non sottraendoli a questa prova, ma rendendoli
superiori alla tentazione.
La preghiera-colletta è
oggi molto bella, ma è tratta dalla messa dei sette Figli di santa Felicita.
La lettura è identica a
quella dei santi martiri Fabiano e Sebastiano, il 20 gennaio.
Il Graduale, tratto dal
Sal. 133 (132), esalta la costante concordia dei Martiri che sopportano insieme
i tormenti, animati da una stessa fede e da un’identica unzione interiore dello
Spirito Santo.
Il tratto e la lettura
del Vangelo sono dal Comune dei Martiri, come il 20 gennaio.
L’offertorio è tratto
dal Sal. 32 (31) e descrive la gioia celeste che succede al duro martirio.
Il versetto evangelico (Mt
12,50), cantato durante la Comunione, si rivela fuori dal suo posto primitivo,
per il solo fatto che non corrisponde alla lettura del Vangelo del giorno. Appartiene
difatti alla festa dei sette Fratelli martiri, figli di santa Felicita; e poiché
questa festa era anche, a Roma, quella della loro madre, l’antifona della
Comunione fa graziosamente allusione al senso più elevato che Gesù attribuisce
al titolo di fratello, di sorella e di madre, dati a coloro compiono la volontà
del suo Padre celeste.
Nella preghiera finale
si afferma che, in presenza degli insondabili disegni di Dio, l’unico atteggiamento
che convenga all’uomo è l’adorazione nel silenzio e nell’umiltà. Nessuno è
necessario a Dio, e la sua gloria non soffre alcun detrimento anche se
rifiutassimo di cooperarvi. Dio può trarre figli di Abramo anche dalle pietre;
se siamo indocili, il danno è tutto nostro, perché Dio compirà per mezzo di un
altro ciò che si sarebbe degnato di fare per nostra opera. Così fu per i
quaranta Martiri di Sebaste. In cielo, gli angeli avevano preparato quaranta
corone; uno dei confessori della fede svenne nei tormenti ed apostatò; ma fu
sostituito immediatamente da uno dei boia che meritò la quarantesima corona.
Il culto verso i quaranta Martiri di Sebaste era
anticamente molto diffuso in Oriente. Noi possediamo ancora il testo del loro
testamento, che ormai la maggior parte dei critici ritiene autentico e che
merita, di conseguenza, di essere considerato come vero gioiello dell’antica
letteratura cristiana.







I quaranta martiri di Sebaste, X sec. d.C., Museum für Byzantinische Kunst,
Bode-Museum, Berlino


Autore greco sconosciuto, I Santi 40 Martiri di sebaste, 1000 circa, Hermitage, San Pietroburgo

Santi Quaranta Martiri di Sebaste, XVI sec., Monastero Dionysiou, Monte Athos

Alessandro Turchi detto l'Orbetto, Martirio dei 40 martir di Sebaste, 1619-20, chiesa di S. Stefano, Verona

martedì 7 marzo 2017






ADESIONE ALLA CAMPAGNA “A RETI UNIFICATE”


Martedì,
7 marzo 2017, festa di S. Tommaso d’Aquino

Anche
la Scuola Ecclesia Mater ha aderito convintamente, assieme ad altre
associazioni e blog (v. qui),
alla campagna “a reti unificate” per chiedere le dimissioni di mons.
Vincenzo Paglia dai suoi ruoli di Presidente della Pontificia Accademia per la
Vita e di Cancelliere dell'Istituto Giovanni Paolo II per la famiglia, stante l’incompatibilità
di questi con le sue recenti – ed assai gravi – affermazioni rese a favore di
Giacinto, detto Marco, Pannella nella sede del partito radicale “transnazionale”.
Non
a caso abbiamo deciso di farlo oggi, nella festa di S. Tommaso d’Aquino, l’insigne
Dottore Angelico, il quale, nella sua esistenza, ha inteso insegnare che non è
il pensiero a determinare l’essere, ma è l’essere che determina il pensiero. La
superbia infatti fa ritenere che il nostro pensare sia il fondamento
dell’essere, mentre invece l’umiltà porta ad osservare e argomentare l’essere
delle cose, soprattutto in quelle divine.  «Questa è una mela. Chi non è d’accordo, può
andar via»: così iniziava il Doctor Communis le sue lezioni, mostrando
ai suoi allievi una mela.
Non
si comprende, , come questo prelato possa ricoprire ruoli istituzionalmente
preposti alla tutela della vita e della famiglia ed al contempo rilasciare
gravi dichiarazioni di elogio sperticato verso il personaggio che fu il Pannella,
il quale, in vita, fu promotore, tra le altre cose, di campagne abortiste,
divorziste, pro-eutanasia, pro unioni omosessuali.
Se
il prelato in questione sente di condividere nell’intimo quegli elogi, bene, lo
faccia pure, ma lasci almeno quegli incarichi istituzionali. Per la verità,
dovrebbe anche compiere una sorta di coming-out di apostasia (vista l’incompatibilità
dell’adesione alle idee che furono del Pannella con la fede cattolica), ma sorvoliamo
per il momento: a noi è sufficiente che, almeno per coerenza minima, cessi di
ricoprire ruoli istituzionali incompatibili con Pannella ed i radicali.
Se,
al contrario, li continuasse a mantenere, le stesse istituzioni, che oggi egli
rappresenta, e per la verità anche la stessa Chiesa, ne sarebbero vulnerate
nell’autorevolezza acquisita nel corso di alcuni decenni, trasformandosi in
consessi ipocriti. Dalla tutela della vita e della famiglia fondata sul
matrimonio si passerebbe de facto all’esaltazione della cultura della morte e
del libertinismo nei costumi.
Mons.
Paglia, quindi, faccia cessare quest’ipocrisia!!!! Vada, dunque, via, come
diceva S. Tommaso, se non è d’accordo con il Vangelo della Vita e del
Matrimonio. Assuma una decisione coerente con le idee che ha manifestato
pubblicamente. 
È in gioco la
credibilità della Chiesa, delle istituzioni che rappresenta e, non ultima, pure
la  Sua.
Per chi volesse, come singolo, sottoscrivere l'appello, può farlo qui. Se ci fosse bisogno di ulteriori argomenti, v. R. Cascioli, E Paglia andò in cielo con trans e gay, in LNBQ, 8.3.2017Il pittore blasfemo e porno che piace tanto al presidente della Pontificia Accademia per la Vita, in Libertà e persona, 8.3.2017; Matthew Cullinan Hoffman, Vatican archbishop featured in homoerotic painting he commissioned, in Lifesitenews, March 3, 2017.


Scuola Eccl. Mater








La crisi del tomismo e il “pensiero debole” a proposito della emorragia di religiosi


«Se riconosciamo la nostra debolezza e chiediamo perdono,
allora la misericordia risanatrice di Dio risplenderà dentro di noi e sarà pure
visibile al di fuori; gli altri avvertiranno in qualche modo, tramite noi, la
bellezza gentile del volto di Cristo». Queste le irenistiche parole di Francesco
con cui si sancisce l’avvicinamento della Chiesa di Roma a quella
d’Inghilterra (non il contrario!), visitando pochi giorni fa la chiesa
anglicana All Saints’ della Capitale (vqui), ancora una volta sfacciatamente incurante
che, proprio in quel luogo, nel 2010, fu ordinata la prima prete donna italiana
(vqui).
A dar man
forte
 alla “debolezza” della teologia bergogliana, l’attuale generale
dei Gesuiti, P. Sosa, che, in una recente intervista, ha svelato l’arcano: la
dottrina non è vincolante; priorità della prassi o “discernimento” (vqui).
Intervista che ha immediatamente suscitato la ferma reazione dell’insigne
teologo Mons. Antonio Livi, confutando il compagno nonché
amico di Bergoglio, Sosa, che «per la sua assoluta incoerenza logica, non
meriterebbe alcun commento teologico ma solo una risata» (vqui). Volentieri, nella festa tradizionale
di S. Tommaso d’Aquino, pubblichiamo questo contributo di Franco Parresio.

La crisi del tomismo e
il “pensiero debole” a proposito della
emorragia di
religiosi

di Franco Parresio

Sabato 28 gennaio 2017,
il vescovo di Roma Francesco, incontrando nella Sala Clementina i
rappresentanti degli istituti di vita consacrata e delle società di vita apostolica,
riuniti in Sessione Plenaria per riflettere sul tema della fedeltà e degli
abbandoni (v. qui),
ha parlato di vera e propria «“emorragia” che indebolisce la vita consacrata e
la vita stessa della Chiesa».
Mettendo da parte, una
volta tanto, il suo solito affettato ottimismo (tutt’uno con l’orfanezza
autoreferenziale
del suo pontificato), e ricorrendo all’anacronistico plurale
maiestatico
(ben diverso dal deriso camauro indossato da Ratzinger), Bergoglio
ha solennemente ammesso: «Gli abbandoni nella vita consacrata ci preoccupano».
Finalmente se n’è
accorto!
Finalmente si è accorto della
crisi che morde – e forte – la vita della Chiesa!
Ma quel chiedersi, con
fare retorico, «Che cosa è accaduto?», appare, ancora una volta, come il goffo
tentativo autoassolutorio, rifuggendo la scomoda autocritica e puntando il dito
contro altro: altro come «questo che è un cambio di epoca e non solo un’epoca
di cambio
, in cui risulta difficile assumere impegni seri e definitivi […],
immersi nella cosiddetta cultura del frammento, del provvisorio, […]
vittime della logica della mondanità, […] di contro-testimonianza
che “proviene dall’interno della stessa vita consacrata».
È vero quando egli sottolinea
che, «parlando di fedeltà e di abbandoni, dobbiamo dare molta importanza all’accompagnamento.
[…] Non poche vocazioni si perdono per mancanza di validi accompagnatori». Ma è
pur vero che stiamo ora tristemente vedendo e toccando con mano i risultati
della più che mai decantata Chiesa in uscita, i cui risultati
fallimentari fanno pensare, invero, ad una Chiesa in liquidazione.
La verità è che è
cambiata l’ortoprassi e l’ortodossia cattolica!
E le colpe non sono solo
da attribuire alla svolta impressa dal Concilio alla vita della Chiesa!
Il Concilio ha recepito le
istanze moderniste di inizio Novecento, ribaltando il primato del Lógos
sull’Éthos, dell’onestà intellettuale su quella morale: primato
consolidato grazie alla teologia e alla disciplina ecclesiastica del Medioevo.
E a denunciarlo – guarda caso – è un autore in odore di modernismo: Romano
Guardini. Già cento anni fa, ne Lo spirito della liturgia, il filosofo
tedesco di origine italiana così scriveva: «Per esso [il Medioevo] il Lógos
aveva il primato sull’Éthos. […] L’età moderna portò a questo riguardo
una profonda mutazione. […] Così la vita attiva venne anteponendosi a quella
contemplativa, la volontà alla conoscenza. […] Da qui viene anche che
istituzioni spirituali come gli antichi ordini contemplativi, […] oggetto di
predilezione per tutto il mondo credente, ora non trovano spesso comprensione
neppure presso cattolici, e debbono essere di continuo difese dai loro amici
dalla taccia di ozioso perditempo. […] Un accentuato attivismo domina tutto; l’Éthos
ha la preminenza sul Lógos, l’aspetto attivo su quello contemplativo.
[…] Che atteggiamento tiene la religione cattolica di fronte a questo sviluppo?
[…] Questa spiccata preminenza della volontà sulla conoscenza, dell’Éthos
sul Lógos, contraddice allo spirito del cattolicesimo. Il
protestantesimo […] rappresenta l’espressione più o meno religioso-cristiana di
questo spirito; e con pieno diritto Kant è detto il suo filosofo. Questo
spirito ha progressivamente sacrificato la salda verità religiosa, e ha fatto
della convinzione religiosa, sempre più di giorno in giorno, un mero oggetto
del giudizio, del sentimento, dell’esperienza personale. La verità scivolò così
dal dominio dell’oggettivamente saldo a quello del soggettivamente fluttuante.
[…] Non […] più una “vera fede”, bensì solo un’esperienza della fede del tutto
personale, […] non più un contenuto di fede professabile e insegnabile, bensì
la dimostrazione della rettitudine dello spirito mediante la rettitudine dell’azione.
[…] Il credente si era radicato non più nell’eternità, ma nel tempo. […] In tal
modo la religione prese un orientamento sempre più mondano (weltfreudig).
Essa divenne sempre più la consacrazione dell’esistenza umana temporale nei
suoi aspetti più vari, una santificazione dell’attività terrena: del lavoro
professionale, della vita sociale, della famiglia e simili. Ma chiunque abbia
considerato per un certo tempo queste cose, rileva quanto inadeguata sia questa
spiritualità, quanto contraddica alle leggi supreme dell’esistenza e dell’anima.
Essa è falsa e perciò innaturale nel più profondo significato di questa parola.
Qui sta la fonte specifica dell’angustia dell’età nostra. […] La religione cattolica
si oppone con tutta la sua forza a questa mentalità. La Chiesa perdona ogni
altra mancanza più facilmente che un attentato alla verità. Essa sa bene che,
se uno manca ma non intacca la verità, egli può ritrovarsi e riprendersi» (pp.
100-106).
Se Guardini riscrivesse
oggi il suo libro noterebbe che la religione cattolica, ahimè!, non solo non si
oppone più a questa mentalità, ma la giustifica; si pensi, ad esempio alla questione
che sta dividendo i cattolici sull’apertura della Chiesa circa la comunione ai
divorziati risposati. «Senza un serio ripensamento e una rinnovata prassi della
[…] iniziazione cristiana, che attualmente nella maggioranza dei casi ha come
esito non l’aggregazione, ma il congedo dalla Chiesa, è illusorio voler
rimediare ai problemi del matrimonio e della famiglia cristiani, applicando
magari delle toppe apparentemente “nuove” sul tessuto già molto invecchiato
della cultura familiare attuale. Fa impressione constatare come si accendano i
toni intorno alla questione dei fallimenti matrimoniali e alle strategie
pastorali da seguire, mentre invece si assiste alla catastrofe del battesimo e
della iniziazione cristiana con una specie di assuefatta indifferenza! Ma non c’è
troppo da sorprendersi. Ciò non è che la ovvia conseguenza […] di una cultura
che è stata abbondantemente assimilata anche dalla teologia» (G. Meiattini OSB, Innanzitutto figli.
Nascere, sposarsi, generare
, ed. La Scala, Noci 2015, p. 18).
Esattamente la
sopradetta cultura del frammento, del provvisorio, della logica
della mondanità, di cui è portavoce il “pensiero debole
predicato da Gianni Vattimo: «un tipo particolare di sapere caratterizzato dal
profondo ripensamento di tutte le nozioni che erano servite da fondamento alla
civiltà occidentale in ogni campo della cultura. Secondo questa prospettiva i
valori tradizionali sarebbero diventati tali solo a causa di precise condizioni
storiche che oggi non sussistono più; per questo motivo deve essere messa in
crisi la loro pretesa di verità. A fondamento del pensiero debole c’è l’idea
che il pensiero non è in grado di conoscere l’essere e quindi non può neppure
individuare valori oggettivi e validi per tutti gli uomini» (v. qui).
Di qui l’odierna debolezza
della teologia sacramentaria, in modo particolare quella riguardante l’Ordine
Sacro, messo sensibilmente in crisi da una mentalità, tutta ecclesiale, che lo
ha ripensato come mezzo “per consacrare il mondo”; per cui viene spontaneo
chiedersi: «Il sacerdozio: un dono dall’alto o un incarico sociologico?» (cfr. Con
i Sacramenti non si scherza. Intervista a don Nicola Bux
, in questo
Blog, 29.1.2017
).


Non c’è da stupirsi se
poi anche quel “bravo ragazzo con laurea universitaria, che lavorava in parrocchia”,
a cui fa riferimento Francesco nel suo discorso, sia andato dal suo vescovo e gli
abbia detto: «Io voglio diventare prete, ma per dieci anni». Evidentemente il
suo discernimento vocazionale lo aveva fatto ascoltando quella famosissima canzonetta
sentimental-religiosa, in cui il chiamato viene pateticamente gasato con
la prospettiva di divenire «sacerdote dell’umanità» (v. canto del gruppo
Gen Rosso Servo per amore),
assurgendo a una sorta di supereroe all’interno delle comunità in cui
dovrà svolgere il proprio ministero presbiterale… fino a che gli altri glielo
faranno credere …

domenica 5 marzo 2017






"Invocabit me" - Antifona di Introito per la Messa della I Domenica di Quaresima








Luca Giordano, Satana tenta il Signore Gesù portandogli pietre perché diventino pane, XVIII sec.


Jan Swerts, Cristo scaccia Satana, XIX sec., Sint-Joriskerk (Chiesa di S. Giorgio), Anversa

John Ritto Penniman, Cristo tentato, 1818


sabato 4 marzo 2017






Nel "Deserto della Quaresima"









Deserto della Giudea: il luogo in cui Gesù vinse le tentazioni


(Cliccare sull'immagine per il video)



Monastero ortodosso del Monte della Quarantena, luogo delle Tentazioni di Gesù, non lontano da Gerico
Epigrafe greca posta sulla massiccia porta di ferro del Monastero

Interno
della c.d. Grottd i Gesù, all'interno del Monastero. Sotto l'altare vi è
la roccia, che, secondo la Tradizione, fu utilizzata da Gesù per
riposarsi durante i 40 giorni nel deserto e su cui ricevette la prima
Tentazione




"Omni die" - inno mariano attribuito a S. Casimiro




Autore polacco sconosciuto, S. Casimiro, XVIII sec., Muzeum Narodowe w Warszawie, Varsavia




L'inizio della Quaresima, il mercoledì delle Ceneri, a Gerusalemme


(Cliccare sull'immagine per il video)

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(Cliccare sull'immagine per il video)




"Attende Domine": inno quaresimale




Evelyn De Morgan, The Red Cross, 1916








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